Abbiamo intervistato Alessio Pieraccini, stilista per la collezione Ca’Vagan PE22, per capire cosa c’è dietro alla sua passione per il mondo della moda e come è nata l’idea di questa collezione.
Ne sono usciti moltissimi spunti, per questo abbiamo deciso di dividere l’intervista in due parti, trovate la seconda parte qui: Uno sguardo alla Primavera Estate 2022.
1- La moda è il mondo che vivi ogni giorno, sia sul lavoro che per interesse personale, come è nata questa passione?
Mi sono avvicinato al mondo della moda grazie a mia nonna, che aveva una passione smodata per l’abbigliamento.
Faceva la cernita degli stracci dall’America e reinventava gli abiti, li rivisitava proprio come una sorta di stilista vintage.
Ho sempre avuto passione soprattutto per gli aspetti iniziali della moda: i colori, le forme.
La formazione è stata per me molto importante. Dopo gli studi, ho sempre lavorato nel mondo della moda e ho avuto la fortuna di essermi trovato in aziende nelle quali si poteva ancora imparare. Grazie al programmato, c’era proprio il tempo di imparare.
2- Quando pensiamo al mondo della moda, affiorano subito alla mente i nomi di grandi stilisti che hanno cambiato il corso della storia.
Quali sono i nomi che ti accompagnano nel tuo percorso creativo?
In passato ci sono stati stilisti che hanno trapassato il tempo, stilisti di pura arte, di pura espansione socioculturale che ancora oggi restano all’avanguardia.
Sicuramente tra questi vi sono COCO CHANEL e CHRISTIAN DIOR, che nel 1947 ha debuttato con il new look: un messaggio importante, che trasmetteva alle donne la voglia di essere belle.
Sebbene spesso sia stata ingiustamente classificata come futile, in realtà la moda, oltre ad essere importante per il tessuto economico, ha un aspetto socioculturale ineluttabile.
Traducendo i bisogni delle persone, si fa per prima traduttrice dei cambiamenti socioculturali.
Basti pensare a ciò che hanno rappresentato i pantaloni per la donna, la minigonna, i jeans.
Ancora oggi la moda continua ad essere protagonista dei cambiamenti sociali, facendosi interprete e portatrice di un messaggio che prende spunto da quello che si vive per strada.
È un modo di esprimersi che va avanti, nonostante quello che succede, nonostante tutto e tutti.
Spesso in passato si è parlato di diktat della moda, prendendo la presentazione delle nuove combinazioni di colori e forme quasi come regole ferree, come se la moda imponesse e appiattisse la personalità di ognuno.
In realtà le persone che sono rimaste un riferimento attraverso i decenni, sono quelle donne e quegli uomini con una spiccata personalità, per i quali la moda si è adattata a loro e non viceversa.
Sono persone che ci hanno dato una chiave di lettura su come la moda ed il suo evolversi possa essere interpretato, rimanendo noi stessi. In questo senso mi vengono in mente le grandi top model degli anni ’90 che, in dieci sfilate, riuscivano ad interpretare con successo dieci donne diverse.
Questo secondo me è un punto che non bisognerebbe mai dimenticare.
La moda può rappresentare un gioco, anche molto bello. Poi però è la personalità di chi indossa gli abiti a fare la differenza.
3- Come è cambiata secondo te la moda negli ultimi anni, anche attraverso l’avvento del fast fashion?
Con il fast fashion sono passate in secondo piano la qualità della manifattura, del prodotto e anche una serie di tematiche sociali importanti.
Il grosso lavoro che tutti possiamo iniziare, prende il nome di consapevolezza.
Dovremmo davvero educarci a capire cosa c’è dietro un capo di abbigliamento. Dietro a una maglia, o un cappotto, ci sono sei mesi di lavoro, chi fa il filato, chi il tessuto, chi tinge, chi fa il cartamodello, chi taglia, chi cuce, chi confeziona. Tutte queste persone devono avere il tempo per lavorare e la giusta retribuzione. Allora possiamo renderci conto del valore di un prodotto realizzato in modo tale che tutte le condizioni precedenti siano soddisfatte.
A quel punto emerge per forza di cose l’incongruenza del fast fashion con i suoi prezzi stracciati. Si comincia a capire che qualcosa non funziona. Poi naturalmente ognuno di noi farà le sue scelte, però almeno dobbiamo informarci, sapere cosa c’è dietro, essere consapevoli.
Le generazioni più giovani sono più attente. Ho letto un articolo di Fortune (Maria Elena Molteni, Moda, nel post pandemia vincono fattore umano e sostenibilità), dal quale emergono dati interessanti. Soprattutto nei consumatori sotto i quarant’anni, ad esempio, il fattore made in fine a se stesso ha perso quasi completamente di importanza a favore della tracciabilità del prodotto.
Non importa dove un capo sia prodotto, importa la reale trasparenza e tracciabilità della filiera.
Una svolta importante in questo senso sono state le sfilate online: un nuovo aspetto sul quale le aziende italiane sono riuscite a realizzare qualcosa di livello molto alto, che ha reso la moda più trasparente, entrando veramente nelle case delle persone.
Questo è un aspetto che non bisognerebbe dimenticare, perché ha rappresentato anche un modo per far arrivare l’estenuante lavoro che c’è dietro ad una collezione. Un lavoro lungo, di sei mesi di ricerca, di studi, di prove, il lavoro di tante persone, di tanti addetti ai lavori.
L’intervista ad Alessio Pieraccini prosegue qui: Uno sguardo alla Primavera Estate 2022.
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